I bambini e la verità del teatro. Intervista a Teresa Ludovico

Dal 17 maggio 2018 al 20 si svolge fra Bari e Matera la ventunesima edizione di Maggio all’infanzia, una delle rassegne più auterevoli nel panorama del teatro ragazzi. Abbiamo incontrato la sua direttrice Teresa Ludovico, del Teatro Kismet, storica realtà che produce il festival. Con lei abbiamo discusso del programma e degli intenti che lo muovono.

Ci può presentare questa edizione di Maggio all’infanzia?

Si tratta di un’edizione particolare, siamo alla ventunesima, ormai siamo diventati adulti! Ho scelto un concetto guida per muovermi nel labirinto del festival: cammina cammina. Mettersi in cammino perché siamo sempre nel mondo della fiaba, dell’archetipo, perché parliamo d’infanzia e i bambini sono destinati a fare un lungo cammino. Cammina cammina perché gli operatori e le compagnie fanno un lungo viaggio per raggiungerci: noi siamo nel profondo sud! Il festival stesso si è spostato in altri luoghi, prima di tutto già da tempo ha creato un ponte con Matera, una città che amiamo molto e alla quale ci sentiamo molto legati per diverse ragioni; anche in previsione del 2019, Matera capitale europea della cultura, sembrava interessante dialogare con questa città. Un’edizione particolare del Maggio all’Infanzia, dunque, che andrà quasi ad anticipare quello che faremo nel 2019. La seconda novità è che abbiamo introdotto anche delle compagnie internazionali perché, volendo dialogare con Matera, ci è sembrato interessante coinvolgere degli artisti di altri Paesi, altro concetto guida del cammina cammina…

Il motto cammina cammina ha orientato anche la scelta degli spettacoli?

Il criterio importante quando si scelgono gli spettacoli è la qualità. Ovviamente non è possibile imbattersi ogni anno in dei capolavori perché gli spettacoli sono delle creature vive e gli artisti sono persone che cercano. A volte, anche compagnie che da anni ricercano sul tema dell’infanzia possono avere proposte più fragili. L’ambizione del festival, però, non è sempre quella di presentare spettacoli perfetti, ma lavori che abbiano qualcosa di vivo, delle domande, delle necessità. Possono essere proposte compiute o ancora alla ricerca di una strada per definirsi, ci arrivano molti lavori a metà del cammino, abbiamo moltissime prime e spesso non vediamo il prodotto già confezionato, cerchiamo quei percorsi che intercettino un’infanzia in movimento e che non si accontentino di un’idea astratta della crescita. La differenza è proprio tra chi ha solamente un’idea dell’infanzia e chi invece si pone per davvero in contatto con essa.
Ci sono, tra le altre cose, le grandi fiabe scritte e ripensate per i bambini, la sfida di ogni compagnia consiste nel cercare di utilizzare un linguaggio consono ai bambini di oggi. È molto interessante il Pollicino del Teatro della Tosse, che affronta la paura del distacco; o anche Scarpette Rosse di Biboteatro su testo di Emanuele Aldrovandi, uno spettacolo che ho scelto perché mi piaceva l’idea di vedere come un giovane drammaturgo potesse affrontare per la prima volta un testo dedicato all’infanzia. Secondo la sua lettura sono già le scarpe la strada da percorrere per diventare grandi. Un’altra fiaba presente nella vetrina di Bari è il Cappuccetto Rosso di Michelangelo Campanale dove il vero protagonista è il lupo, un lupo che non vince ma che non muore nemmeno. Lo spettacolo è quasi senza parole e il regista ha lavorato con attori, acrobati e danzatori pugliesi. Un secondo tema è quello del rapporto con la musica che ritroviamo ne I Musicanti di Brema, uno spettacolo-concerto di Fabrizio Pallara molto stimolante per i bambini e in Concerto Fragile di Antonio Catalano, una proposta dedicata ai piccolissimi in cui gli oggetti quotidiani, messi in relazione con la natura, sono sempre al centro della scena.
In programma troviamo anche spettacoli ispirati a grandi romanzi di formazione: Zanna Bianca di Luigi D’Elia e Francesco Niccolini, un viaggio nella foresta che faremo, insieme, attraverso gli occhi di un piccolo lupetto, Le nuove avventure di Bruno lo zozzo, ispirato al romanzo di Simona Frasca, una storia d’amore del Granteatrino proposto con il linguaggio dei burattini e Mio fratello rincorre i dinosauri con Christian Di Domenico, un narratore eccellente. In Molsa della compagnia Thomas Noone Dance, ispirato all’omonimo libro di David Cirici, sulla scena dei danzatori muovono delle marionette abbastanza grandi, mettendo in scena la storia di un bambino e del suo cane separati dalla guerra e che alla fine si rincontreranno. La casa del contemporaneo, invece, porta un testo che di solito propone agli adulti, TomCat, in cui si racconta lo stato d’animo di una ragazzina che sente di essere trattata come una cavia. Tra le “grandi narrazioni” c’è poi uno spettacolo di Flavio Albanese, Canto la storia dell’astuto Ulisse in cui delle sagome molto belle, realizzate da Lele Luzzati, dialogano con le ombre in un misto di linguaggi che prevede anche la narrazione. Questo è quello che accadrà nella vetrina di Bari. A Matera, invece, una città priva di teatri, è stato necessario ospitare spettacoli più agili come come quello del Circo El Grito, una compagnia di circo contemporaneo molto interessante.

Prima parlava dell’infanzia in movimento, un concetto molto affascinante. Come si intercetta? Quali sono le occasioni, i luoghi, dal punto di vista del teatro ma anche della nostra società in generale, per mettersi in ascolto dell’infanzia e capire quali sono le sue domande, i suoi dubbi?

Un’altra caratteristica di questo festival è che oltre alla vetrina ci sono tanti altri spettacoli in tanti altri luoghi e tante altre occasioni per intercettare questa infanzia in movimento. La caratteristica del teatro per l’infanzia, a differenza di quello per gli adulti, è che il bambino non sceglie di andare a teatro, ma c’è qualcuno che è intermediario. Noi cerchiamo tutto l’anno, e anche durante il festival, di coltivare dei rapporti speciali con chi può portare i bambini a teatro. Prima di tutto le insegnanti. Il festival prevede infatti sia spettacoli pomeridiani che matinée, per permettere alle insegnanti di portare i bambini. Chi muove questa infanzia sono appunto i genitori e le insegnanti e per le queste ultime cerchiamo tutto l’anno di costruire dei percorsi di visione attraverso il grande sostegno della Casa dello spettatore con Giorgio Testa e i suoi bravissimi collaboratori. Ogni anno attraverso questo percorso di formazione chiamato Esplorazioni cerchiamo di accrescere nelle insegnanti una maggiore consapevolezza del mondo dell’infanzia, ponendoci domande per noi fondamentali: come guardare uno spettacolo destinato ai bambini? Che caratteristiche ha? Come leggere uno spettacolo da sottoporre ai bambini? E abbiamo un gruppo veramente nutrito: sia pugliese che anche campano, perché anche il Teatro delle Nuvole (che fa parte della Fondazione SAT) fa anche un grandissimo lavoro. Saranno presenti al festival le insegnanti di Napoli, che durante l’anno hanno frequentato i corsi della Casa dello Spettatore e che quindi possiedono già una propria pratica di visione. Si diventa in qualche modo “complici”: gli insegnanti non subiscono più passivamente delle scelte ma ne sono partecipi in tutto e per tutto. Questo è un obiettivo che si sta cercando di raggiungere passo dopo passo. Infatti, quando trent’anni fa il Kismet ha iniziato il proprio percorso legato al teatro ragazzi fin sa subito abbiamo coinvolto gli insegnanti attraverso laboratori a loro dedicati. All’epoca si trattava veramente di iniziative insolite. Con gli anni però si è formata un’intera generazione di insegnanti che è diventata una generazione di veri e propri attivisti, creando associazioni come “Educhiamoci alla pace”. Ora, tutti questi insegnanti sono andati in pensione e noi qualche tempo fa ci siamo trovati nel bel mezzo di un passaggio generazionale senza sapere più con chi dialogare. Tant’è che c’è stato anche un grande calo di scuole che si interessavano al teatro ragazzi. Ecco che abbiamo dovuto reiniziare tutto da capo: ci siamo rimessi in movimento e abbiamo iniziato questo percorso con la Casa dello Spettatore, per ristabilire un contatto con chi lavora nel campo dell’educazione.
Quindi è chiaro che l’insegnante è un intermediario fondamentale. Dall’altra parte ci sono i genitori, che cerchiamo di intercettare in vari modi. Durante ogni spettacolo destinato alle famiglie, per esempio, realizziamo spesso nel foyer eventi, magari piccoli laboratori, che abbiano a che fare con il tema dello spettacolo, cercando di coinvolgere bambini e genitori.
Insomma, se vogliamo che questa generazione di “piccoli” entri in relazione con il linguaggio del teatro occorre preparare la strada. Non è sufficiente “prenderli” e metterli a guardare un’opera dal vivo senza alcuna preparazione. Tra l’altro la grande questione del teatro oggi è che i bambini sono molto abituati all’uso del cellulare, dell’i-pad, etc. sin da quando hanno pochissimi mesi di vita, per cui sono propensi a distrarsi facilmente. Quindi noi come operatori del settore abbiamo il compito di “conquistarli”, inventandoci delle modalità inedite di “teatro vivo”.

Da questo punto di vista, il contesto pugliese ti pare un “terreno fertile”?

Io penso che il teatro Kismet, proprio perché è una delle realtà teatrali più vecchie di tutto il meridione e d’Italia a lavorare attorno alle domande del bambino, in Puglia abbia fatto scuola. È quindi bello vedere come dall’esperienza del Kismet siano fiorite tantissime compagnie, che hanno fatto proprie le nostre modalità di relazione e coinvolgimento. Adesso esistono anche altri festival che si sono generati per “gemmazione” e che creano una molteplicità di occasioni d’incontro in tutta la regione, non solo da noi a Bari come poteva essere una volta. Ci sono insomma una miriade di attività che pongono grandissima attenzione all’infanzia, quindi i bambini sempre e ovunque, o la mattina attraverso i programmi scolastici o le domeniche pomeridiane o durante tutte le feste comandate, hanno l’occasione di praticare il linguaggio del teatro sia come spettatori che come partecipanti attivi, visto che tutti noi proponiamo corsi di ogni tipo dagli 0 anni fino all’adolescenza.
Tra l’altro il 13 maggio abbiamo realizzato Unduetrè/La cicogna naturale, una giornata particolare che abbiamo dedicato ai piccolissimi che ha coinvolto oltre ai bambini anche tutte le famiglie. Abbiamo offerto dunque la possibilità di trascorrere una giornata intera con laboratori di arte, musica, teatro, letture con momenti di confronto, riflessioni sulla genitorialità e l’educazione, di attraversare una molteplicità di domande legate all’infanzia e di farlo insieme. Il 15 maggio abbiamo costruito un grande corteo di apertura, che ha attraversato le vie della città dedicato ai “Mostri marini” con la partecipazione di 500 bambini che hanno sfilato in centro. Fra questi ultimi, circa un centinaio provenivano da scuole materne. Capite bene come dietro al festival ci sia un lavoro che si sviluppa lungo il corso di tutto l’anno, che lo rende un momento di grande coinvolgimento e di festa collettiva per la città intera (processo che stiamo cercando di portare anche a Matera). L’idea non è dunque quella di una vetrina, ma è una concezione più ampia che viene nutrita in ogni momento con varie iniziative che hanno nel Maggio la propria conclusione.
In fondo, questi 500 bambini che ne sanno del Maggio all’infanzia. Sanno che per tutto l’anno preparano qualcosa che ha un suo compimento, dopodiché andranno a teatro. Assoceranno dunque il lavoro prolungato con quello che gli spettacoli che verranno a vedere, creando una specie di continuum e facendo del festival anche un risultato del loro lavoro.

Parlava della necessità di dover coinvolgere spettatori – i bambini – abituati a modalità di fruizione sempre più rapide e veloci. Forse una chiave sta nell’ironia e nel divertimento, che ci sembrano centrali nel Teatro Ragazzi. Ma come evitare che scadano in mero intrattenimento?

Io penso che dipenda unicamente dalla professionalità degli artisti che lo praticano. Un buon artista è una persona con delle competenze, che è in contatto con il mondo e ha specifiche missioni: io faccio l’artista perché, in qualche modo, voglio testimoniare il mio sguardo sul mondo di oggi. Abbiamo una grande responsabilità quando facciamo spettacoli per bambini, perché i bambini sono gli uomini, le donne e i cittadini del futuro. Quindi il divertimento è una condizione: quando si va a vedere qualcosa ci si predispone già a uno stato di godimento, io vado a teatro perché voglio avere il piacere dell’incontro. Come ne uscirò da questo incontro non lo posso sapere e quelli che dicono a prescindere “io lo faccio per divertire” indicano già qualcosa di stereotipato; cosa significa far divertire qualcuno? Parliamo di idea del divertimento. Il teatro è qualcosa che accade lì, c’è un artista – una persona che ha passione per quello che sta facendo, che si impegna quotidianamente e che è consapevole dei propri mezzi – c’è una storia da raccontare, un linguaggio specifico, e c’è un’attenzione particolare verso chi fruisce lo spettacolo. Dovendo parlare di un pubblico bambino credo che il linguaggio della semplicità, del rigore e della perfezione sia importante: bisogna utilizzare in maniera chiara e precisa i simboli, perché quando ci rivolgiamo ai bambini noi contattiamo degli archetipi che, se confusi e mal gestiti, possono fare male; ogni elemento muove qualcosa. Di fronte alla confusione il bambino si distrae e quindi qualcosa non sta funzionando. Ho visto centinaia di spettacoli e mi sono fatta questa idea: non esiste un pubblico “difficile”, esiste un pubblico che non è abituato. Però se uno spettacolo è ben costruito nella sua semplicità, nel suo rigore, nella sua autenticità, funziona, è recepito e accolto; ciò che accade sulla scena deve essere autentico, non deve essere una presa in giro, non deve essere infantile, bambinesco: se tutto questo c’è, anche il bambino c’è, l’aura tra il bambino che è lì e l’artista che è dall’altra parte è un filo vero. Loro sono animaletti, nel senso buono della parola: quando c’è qualcosa di vivo lo acchiappano. La nostra responsabilità è di metterli nelle giuste condizioni.

Ritornando al concetto del buon artista, che esprimendosi in maniera autentica rende lo spettacolo vivo e quindi capace di catturare il pubblico, pensiamo ai suoi spettacoli tout public. Si può dunque realizzare uno spettacolo “per” bambini e ragazzi ma che, pur tenendo conto del proprio destinatario principale, possa arrivare a un pubblico di tutte le età?

Uno spettacolo fatto bene è uno spettacolo per tutti. I francesi dicono tout public, in realtà noi diciamo per tutti. Come dovrebbe essere. Uno spettacolo di Peter Brook, per esempio, è veramente uno spettacolo per tutti. Verso la metà del suo percorso lui invitava i bambini alle prove perché li considerava gli unici in grado di restituire agli attori la verità su quello che stavano facendo. Se lo spettacolo reggeva la comicità del bambino funzionava; a lui non interessava invitare gli intellettuali, per me capire questo è stata una grande lezione. Il bambino è lì e sei tu a dovere entrare in relazione. Inoltre Brook ha sempre utilizzato la semplicità: una cosa semplice non è una cosa banale, ma chiara; la cosa importante è costruire i livelli. L’ultima produzione che abbiamo realizzato in Giappone, Pinocchio, è uno spettacolo stratificato che a Tokio viene proposto sia la mattina per le scuole che la sera con un pubblico esclusivamente adulto.
In Italia tendiamo a sezionare molto (teatro ragazzi, teatro infanzia)… Certo i destinatari devono essere individuati e infatti uno spettacolo per adulti di un certo tipo forse non è sempre il caso di proporlo a un bambino. Il tema della morte, per esempio, si può affrontare con i bambini, ma attraverso un linguaggio consono, piuttosto che sottoporli a qualcosa di violento o feroce. La differenza sta nel tipo di linguaggio che si utilizza per portare in scena una storia universale. Quindi uno spettacolo per tutto il pubblico è quello in cui si propone una grande storia costruita su vari livelli: il bambino ne coglie un primo (noi lo sappiamo, le grandi storie hanno ampia profondità), ma anche l’intellettuale, se fa uno sforzo, può trovare in uno spettacolo come Pinocchio delle domande, degli stimoli, insomma qualcosa che abbia a che fare con un momento della propria vita.

Francesco Brusa, Nella Califano, Carlotta Tringali 




Maggio all’infanzia. Intervista a Teresa Ludovico

Dal 18 al 21 maggio avrà luogo a Bari Maggio all’infanzia, storica rassegna dedicata al teatro ragazzi organizzata dai Teatri di Bari. Abbiamo raggiunto telefonicamente Teresa Ludovico del Kismet, con lei attraversiamo le domande curatoriali alla base della rassegna, soffermandoci anche su alcuni snodi estetici e poetici che legano le arti della scena e l’infanzia.

Cominceremmo con un’introduzione al festival di quest’anno. Quali sono le linee di lavoro, tenendo anche in considerazione la lunga storia di Maggio all’Infanzia?

 

Maggio all’Infanzia nasce vent’anni fa al Rossini di Gioia del Colle, teatro che gestivamo in quel periodo. Come è noto, il Kismet ha una grande tradizione nel teatro dedicato all’infanzia e alle nuove generazioni: adesso siamo un Teatro di Rilevante Interesse Culturale, ma prima eravamo un Stabile d’Innovazione per le nuove generazioni. Subito il festival ebbe un grande riscontro, accogliendo tantissimi organizzatori, ma in seguito la gestione del teatro è tornata a essere comunale; per questo Maggio all’Infanzia è stato spostato a Bari. Tre anni fa c’è stata una ulteriore evoluzione: è nata una fondazione, il SAT (Spettacolo – Arte – Territorio) insieme al Teatro le Nuvole di Napoli, con l’obiettivo di coinvolgere un territorio allargato. Le molteplici attività, didattiche e soprattutto formative, sono state estese a tutto il mese, riservando alla terza settimana la presentazione degli spettacoli.

L’aspetto formativo è dunque al centro delle vostre azioni…

In questi vent’anni è maturata una maggiore attenzione verso le problematiche educative. I bambini, ovviamente, non vanno da soli a teatro, qualcuno li deve accompagnare, i genitori oppure, più spesso, gli insegnanti. Quindi, la necessità di avere relazioni privilegiate con gli insegnanti, soprattutto con i più giovani.

A questo proposito quali sono i progetti in essere?

Abbiamo la fortuna di avere una collaborazione di lunga data con Giorgio Testa, una persona straordinaria che ha una vocazione per la pedagogia  e che, dopo la chiusura dell’ETI dove dirigeva il Centro Teatro Educazione, ha fondato la Casa dello Spettatore. Da tre anni sta seguendo, insieme a Sara Ferrari, sia a Napoli che a Bari, il progetto Esplorazioni, un laboratorio destinato agli insegnanti sulla didattica della visione.
Per questa ventesima edizione ci sono poi tutta una serie di progetti speciali. Negli ultimi tre anni il festival ha accolto anche i nuovi linguaggi: il rapporto con la letteratura (allargandosi alle librerie e le piazze, incontrando scrittori, grafici, fumettisti) e con il cinema (vengono scelti dei film attorno ai quali, insieme all’Associazione I bambini di Truffaut, si organizzano incontri e approfondimenti).
È stata accolta una proposta sui temi della Costituzione e dell’Utopia, curata da Graziano Graziani (giornalista di Rai5 e Radio3), un progetto rivolto agli adolescenti invitati a scrivere la propria Costituzione ideale. Altra novità di quest’anno è l’organizzazione di una giornata di eventi e spettacoli dedicati ai bambini dai 0 ai 3.
L’associazione Europea dei Festival, che quest’anno ha insignito il Maggio di un riconoscimento di qualità, ha dedicato tre giornate alla formazione sul management culturale, che ospiteremo.

Come intrecciate tali ragionamenti con l’incontro tra i ragazzi e gli spettacoli? Quali chiavi scegliete?

Il programma è attraversato da quattro fil rouge. Il primo concerne la musica: inaugureremo con uno spettacolo dei Teatri di Bari diretto da Vito Signorile ispirato a Pierino e il lupo, con musiche di Prokoviev, e a L’apprendista stregone, quindi alla musica di Dukas. C’è anche un omaggio a Emanuele Luzzati, il Pulcilele di Paolo Comentale con musica di Rossini, poi programmiamo Lo schiaccianoci della Bottega degli Apocrifi, Eroine all’opera della compagnia pugliese Il carro dei comici, un’operina con attori, teatro di figura e cantanti lirici. Il teatro ragazzi sta andando anche verso un’esigenza di conservazione del patrimonio della lirica: Seicentina, del gruppo lucano L’albero, è un’operina per attrice, voce e basso continuo; in forma di musical, invece, è La gabbianella e il gatto del Teatro Vascello. Torna sempre anche il tema del racconto, con la prima nazionale del lavoro di Francesco Niccolini e Flavio Albanese, L’universo è un materasso; la Compagnia Burambò si confronta con L’arca di Atalanta di Gianni Rodari, partendo dai miti; La grande avventura del Teatro delle Apparizioni è un viaggio nel bosco che racconta le paure dell’infanzia e il tema dell’iniziazione. Ma anche Le dodici fatiche di Ercole del Teatro della Tosse o Cammelli a Barbiana, ancora scritto da Niccolini con Luigi D’Elia, sulla figura di Don Lorenzo Milani.

Si delinea un quadro variegato e polifonico. Quali possono o devono essere le tematiche da portare all’attenzione di un pubblico di bambini?

Gli altri due filoni individuati nella visione delle proposte ricevute sono legati alla fiaba e alle scritture originali, e con questi rispondo anche alla domanda. Le scritture originali in qualche modo rispecchiano i temi forti del nostro tempo, come ad esempio la diversità. Volentieri il festival ospitò sia Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro di Giuliano Scarpinato che La bella Rosaspina addormentata di Emma Dante. Sono convinta che per il pubblico infantile sia necessario incontrare i grandi temi della vita. Le paure da superare, le stesse raccontate nelle fiabe, sono spesso legate a quelle ancestrali e mitiche. Ben vengano, dunque, tutte quelle scritture originali che conducono i bambini in un percorso iniziatico a partire dalle grandi domande dell’oggi: l’altro, l’estraneo, lo straniero, la diversità sessuale e religiosa. Tra gli spettacoli che abbiamo inserito c’è L’arte della menzogna delle Manifatture Teatrali Milanesi, dove un ragazzo mente al padre perché non ha il coraggio di affrontare la sua diversità. Gli artisti dovrebbero darsi il compito di intercettare le domande dei bambini, senza dare risposte, ma invitando al confronto; grazie a percorsi esperienziali il bambino acquisisce gli strumenti per poter comprendere, anche da solo e senza l’aiuto degli adulti. Una volta messo a punto un linguaggio teatrale “che accoglie” ci dobbiamo fidare della loro capacità di decodifica, dobbiamo rispettarli e non avere paura di affrontare argomenti che consideriamo difficili.

Attorno alle potenzialità della fiaba possiamo forse spendere qualche altra parola…

Le fiabe sono nate e sopravvissute per l’esigenza dei nostri antenati di trasmettere il sapere della vita. Per esempio le paure sono sempre le stesse perché sono archetipiche, ma cambiano il linguaggio e gli strumenti per superarle.

La fiaba può dunque metterci di fronte al terribile, senza consolare. In che modo il teatro può ottenerlo?

Secondo il mio punto di vista la fiaba deve affrontare le zone buie, deve portare il bambino ad avere paura, a provare un’emozione forte in una condizione protetta. Nella fiaba il protagonista è impegnato in un viaggio di formazione, il bambino compie il viaggio dell’eroe, identificandosi con tutte quelle “prove” da superare in un mondo che include il male. Il teatro ha un valore educativo, ha la responsabilità di portare l’infanzia alla conoscenza del mondo e della vita. Attraverso la fiaba, tu bambino scenderai in quegli inferi (incontrerai la strega, sarai mangiato da quel mostro ecc) sapendo che, se sei determinato e fedele a te stesso come un Pollicino, troverai la tua strada. Questo è il senso del teatro per l’infanzia, è un linguaggio che deve accompagnare ma anche mostrare ai piccoli che possono farcela da soli nonostante le cadute, gli errori, le ferite.

C’è una questione che stiamo ponendo anche agli altri festival partner di Planetarium. Prima parlavi di un teatro che va incontro alle domande, alle paure del pubblico di oggi. Ma il pubblico di oggi, anche questo così giovane, è immerso in un contesto mediale iper-veloce e iper-frammentato. Il teatro può forse rappresentare un’alterità, una specie di sosta “antica” ma che rischia sempre di essere vissuta come vecchia.

Penso ci sia una caratteristica del teatro che non ha confronti con nessun’altra arte e che non lo farà mai invecchiare: è il rapporto diretto tra lo spettatore e l’attore. Io non ho mai paura della concorrenza di un computer o di un video.
Nel 2000 ho creato uno spettacolo, Bella e Bestia, che ha girato il mondo e ha generato una collaborazione che ancora va avanti con il Giappone. Quello giapponese è, senza dubbio, tra i popoli più tecnologici del mondo, eppure la scena che ha emozionato maggiormente è stata una caduta di centinaia di bigliettini, messaggi d’amore che la Bestia lanciava dall’alto alla Bella. È il linguaggio poetico, quel qualcosa di semplice e impalpabile che esiste anche senza la tecnologia. Una polverina dorata che scende stupisce più di un grande video perfettamente proiettato. È l’azione più semplice che sorprende, noi di questo dovremmo farci esperti. La tecnologia non può mai sostituire l’immaginazione. È necessario riportare al centro della scena l’umanità dell’interprete, il suo corpo con tutta la sua bellezza e fragilità.

 

Lorenzo Donati e Sergio Lo Gatto