Una fiaba oscura, cruda, inquietante, spesso nemmeno raccontata ai più piccoli, entra come fil rouge nella XXIX edizione del Festival Segnali, che ha visto ben tre Pollicino nella sua programmazione. Dal Pulgarcito di Teatro Paraìso (Tomás Fdez. Alonso, Ramòn Monje, Inaki Rikarte, Inaki Salvador) una delle proposte internazionali della rassegna, passando per l’anziano Pollicino di Eco di Fondo (Giacomo Ferraù, Giulia Viana, Libero Stelluti, Andrea Pinna) e concludendo con la fedele versione proposta da Teatro del Piccione (Simona Gambaro, Paolo Piano) e Teatro della Tosse, con regia e drammaturgia di Davide Doro e Manuela Capece, il celebre racconto di Perrault viene messo in scena da differenti angolature.
Abbiamo intervistato le tre compagnie per scoprire da dove venga la spinta e quali siano le scelte fatte per raccontare una fiaba solo in apparenza tanto senza speranza.
Perché avete deciso di mettere in scena Pollicino?
Tomás Fdez. Alonso (Teatro Paraìso): Semplicemente ci sembrava un testo stimolante e desideravamo metterlo in scena. Per prima cosa lo abbiamo proposto al regista, che ci ha pensato sopra e se ne è uscito con la proposta di far diventare il personaggio di Pollicino un anziano. Questo è stato sostanzialmente il nostro punto di partenza. Il resto è stato costruito attraverso l’improvvisazione: da lì si sono create altre situazioni, che hanno innescato ulteriori intuizioni, da cui infine sono nate le scene e i conflitti presenti nello spettacolo. In più, ci siamo posti come condizione di non utilizzare alcuna ambientazione che non fosse quella di una normale stanza d’appartamento: tutte le vicende si sarebbero dovute svolgere negli spazi e con gli oggetti che si possono comunemente trovare in una normale camera. Questo, che potrebbe sembrare una limitazione, si è infine convertito in uno dei punti di forza dello spettacolo. Ci ha infatti permesso di trasformare tanti oggetti di uso quotidiano in qualcosa di diverso, a volte addirittura di farli diventare dei personaggi (come nel caso dei calzini che a un certo punto “impersonano” le figlie dell’Orco della fiaba), oppure di rendere più interessanti ed evocativi elemento che a tutta prima non sembrerebbero così centrali, come gli stivali delle sette leghe che vanno a dare senso a quasi tutto lo spettacolo.
Simona Gambaro, Paolo Piano (Teatro del Piccione): Pollicino è già entrato a far parte di nostri altri spettacoli, ad esempio con Piccoli Eroi. Nonostante si tratti di spettacoli diversi, c’è un’urgenza comune che parte dalla fiaba di Perrault. Nel Pollicino messo in scena qui a Segnali, centrale è l’elemento della paura, quel saper trovare le proprie risorse per affrontare una sfida. Questa paura e questa audacia accomunano Piccoli Eroi e Pollicino, sono l’urgenza che diventano un invito ad avere coraggio e fiducia.
Nel caso di Pollicino, la scelta drammaturgica e registica di Manuela Capece e Davide Doro è stata di mantenere un’assoluta fedeltà alla fiaba, messa in scena senza dare interpretazioni o doppie letture. La scelta, forte, è stata quella di essere nudi e crudi proprio come la fiaba, elementari nell’uso dei suoi simboli, della sua costruzione narrativa e dei personaggi. Una fiaba buia, truculenta, la cui crudezza abbiamo voluto trasmettere anche attraverso una scena che è uno spazio vuoto in cui vivono soltanto parole e personaggi. Paradossalmente però questa fiaba è anche un inno alla vita, al saper andare dentro e oltre le cose: lo spettacolo accade in teatro, un luogo di per sé buio, e i bambini vivono un’esperienza di paura, di inquietudine, che si fa strada, anche concretamente, tra il pubblico. La conquista del tesoro da parte di Pollicino, solo evocato e mai sul palco, nel finale è anche la conquista che il pubblico fa arrivando alla fine dello spettacolo: noi torniamo in scena come genitori e diciamo: «bravi bambini, ce l’avete fatta, siete stati coraggiosi». Questo è il nocciolo di Pollicino che, declinato per un’altra età, era in Piccoli Eroi.
Eco di fondo: Pollicino nasce proprio in un filone della compagnia, teso a indagare miti e fiabe. Da un lato, i miti sono maggiormente dedicati a un teatro per adulti, mentre le fiabe sono riservate ai più piccoli. Tuttavia spesso si mischiano anche perché miti e fiabe hanno delle radici molto comuni, lavorano su paradigmi potentissimi che si possono declinare in qualsiasi modo.
Come sempre, abbiamo sempre prima pensato al tema, di cosa avevamo urgenza di parlare anche a livello personale. È un periodo della nostra vita in cui, com’è normale, ci dobbiamo assumere maggiori responsabilità, in cui stiamo diventando “genitori dei nostri genitori”. Inoltre, in questo momento stiamo anche portando avanti degli incontri con l’università di Milano incentrati sui caregiver. Quindi, abbiamo subito pensato a Pollicino in quanto fiaba dell’abbandono per eccellenza, assieme a Hansel e Gretel, con cui speriamo di confrontarci prima o poi.
In scena si vede una casa di riposo. Cosa si può dire delle case di riposo? Tutti abbiamo su di esse un’opinione personale, che però non rispecchia un’universalità. È qualcosa di molto specifico, che varia da persona a persona. Nel caso di Pollicino, il protagonista le vede come un inferno ma è chiaro che per molti altri non sia questa la realtà. Siamo stati in delle case di riposo, ne abbiamo osservato il funzionamento, con i bambini infine abbiamo realizzato delle prove aperte che ci aiutano a “rodare” lo spettacolo. Fino all’ultimo ci siamo interrogati se arrivare al punto in cui Pollicino diventa così piccolo da scomparire, avevamo dei dubbi su come potesse essere recepito dai bambini… ci è sembrato che il doppio piano di narrazione funzioni bene. Ai bambini arriva il lato più divertente e divertito, mentre gli adulti si identificano di più con le responsabilità connesse alle scelte da prendere nel momento in cui i propri genitori invecchiano.
Nonostante questi temi di fondo, negli spettacoli c’è anche un uso molto diffuso dell’ironia…
Simona Gambaro, Paolo Piano: Sì, è un doppio registro contraddittorio. Come siamo contraddittori noi in quanto persone lo sono anche i personaggi della fiaba e di conseguenza i nostri ruoli. Ci si completa. I due genitori che noi incarniamo si dimostrano dei disgraziati abbandonando i loro figli. È necessario notare come l’abbandono dei figli sia un fatto che accade oggi, magari lontano dai nostri occhi, ma accade. I genitori di Pollicino, come nella realtà, non sono univoci, non sono cattivi. Sono dei disgraziati che non possono fare altro, o non riescono a immaginare cos’altro potrebbero fare. Quando l’abbandono avviene nella realtà forse è proprio l’unico tentativo di soluzione immaginabile per chi lo mette in atto. Quindi essendo una realtà difficile non abbiamo potuto fare altro che restituirla nella sua complessità. In questi personaggi, in questi ruoli c’è anche la nostra inadeguatezza come esseri umani, la nostra necessità di cercare degli spiragli di felicità anche nella disperazione. È per questo che fanno capolino ironia e leggerezza.
Inoltre l’ironia assume un ruolo importante anche dal punto di vista drammaturgico. Per quanto i personaggi della fiaba siano tagliati con l’accetta, non abbiano nomi – sono il Padre, la Madre, un Boscaiolo e sua Moglie, l’Orco e l’Orchessa – siano monolitici insomma nella loro funzione, portandoli sul palco acquisiscono una rotondità. Tale rotondità e tale ambivalenza mettono “in moto” il pubblico, lo costringono a non restare passivo di fronte allo spettacolo. Se i personaggi fossero piatti, come schizzati su un foglio, saremmo noi come artisti a dare la nostra chiave di lettura, imboccando il pubblico, ma non è ciò che desideriamo per gli spettatori. Pollicino gioca molto sulla soglia, sul confine. Il linguaggio è chiuso, noi siamo immersi nella nostra storia, ma la soglia è permeabile e l’ironia è una delle chiavi d’accesso.
Eco di fondo: Ci siamo divertiti a ironizzare sul concetto del rimpicciolimento, per cui ogni gesto o azione diventa estremamente faticoso da compiere per una persona che si fa via via sempre più piccola (processo che ovviamente allude all’invecchiamento). In questo senso, il mondo delle fiabe è un’ambientazione che facilita a evadere dal realismo, che dunque ci aiuta a percepire le problematicità evidenti ma senza renderle evidentemente drammatiche. Ciò che avviene è dunque una decontestualizzazione delle problematiche concrete, per trasporle in un’ambientazione diversa. Di conseguenza abbiamo preso ispirazione dal ruolo che nella versione di Perrault hanno i genitori di Pollicino, che sono due boscaioli. Da lì è nata la nostra idea di raccontare un boscaiolo, che dunque nel contesto odierno potrebbe essere un progettatore di case e capanne, etc. e la moglie del boscaiolo che si presume invece trascorra più tempo a casa e da lì “assiste” i personaggi delle fiabe, offrendo loro un supporto per via telefonica.
Tomás Fdez. Alonso: Credo che i bambini abbiano molta capacità di resilienza. Nel momento in cui ancora stavamo costruendo lo spettacolo, ci siamo accorti di come Pollicino sia in realtà un testo veramente terrorizzante: parla di genitori che da quanto sono poveri sono costretti a prendere la decisione di abbandonare i propri figli nel bosco, per non vederli morire fondamentalmente. Sono situazioni tragiche, truculente… Allo stesso tempo però sono storie che appartengono all’immaginario collettivo e la cui origine si perde nella notte dei tempi, sono un patrimonio della cultura occidentale. Come si possono raccontare a bambini piccoli? Durante le prove dello spettacolo, abbiamo conversato con degli psicologi, che ci hanno spiegato come non ci sia problema per i bambini a recepire queste storie, per loro il carattere terrorifico e truculento non ha nessuna importanza. I bambini si identificano con Pollicino, che è un bambino piccolo come loro, che come loro parla poco e ascolta molto, e che ha il coraggio e la forza per uscire dalle situazioni di massima difficoltà. È questo il valore delle fiabe per i bambini. Ecco perché i bambini nel vedere le vicende di Pollicino si divertono mentre gli adulti si concentrano su gli altri elementi maggiormente conflittuali. L’importante è riuscire a inserire nello spettacolo sufficienti “stratificazioni” e livelli, cosicché ciascuno spettatore possa entrare nella dimensione di narrazione che sente più vicina a lui.
C’è la sensazione di una sovrapposizione fra infanzia e vecchiaia (negli spettacoli di Teatro Paraìso e di Eco di Fondo, Pollicino è a tutti gli effetti un anziano)… che cosa hanno in comune queste età della vita? In generale, oggi, le fiabe parlano a tutti?
Tomás Fdez. Alonso: Credo che esistano opere universali, da cui derivano semplicemente letture diverse. L’isola del tesoro, E.T. o il cinema di Charlie Chaplin sono opere per bambini o per adulti? Allo stesso modo, Pollicino è una fiaba che appartiene all’immaginario occidentale.
Un nonno e un bambino hanno molto in comune. Il primo si trova all’inizio della vita e il secondo alla fine, rappresentano insieme il circolo della vita. Perché i bambini e gli anziani si intendono così facilmente? Perché in realtà dal punto di vista psicologico sono molto simili: gli anziani non vivono le cose in un modo così pesante come gli adulti e, di conseguenza, capiscono meglio i bambini.
Pensiamo alla maschera del clown, di cui si dice essere “il bambino che tutti siamo stati da piccoli”. Chi sono, di solito, i clown migliori nel circo? Sono quelle persone anziane, gli acrobati o i giocolieri che non possono più esercitarsi e che quindi diventano clown. Anche lì, come nella vita reale, chi è alla fine della vita o della carriera riesce a parlare meglio a chi invece sta nel punto iniziale del circolo. Il nonno si comporta a tutti gli effetti come un bambino: non vuole togliersi il pigiama, fa i capricci, nasconde cibo nelle tasche… azioni che spesso fanno anche i bambini, i quali dunque sono quelli che ridono di più osservando i nonni.
Eco di fondo: L’idea del nostro spettacolo è stata anche quella di, attraverso il gioco e attraverso un immaginario comune, pop, ma anche con tutto il tatto possibile, guidare adulti ma soprattutto bambini a prendere consapevolezza delle diverse fasi della vita. Diventare anziani è un po’ come ritornare bambini, si diventa sempre più fragili, sempre più piccoli e si va in un altrove, proprio come i personaggi delle fiabe. Nelle fiabe c’è scritta la parola fine ma si sa che queste storie continuano da qualche altra parte, forse e chissà come.
Credo che questo sia un atteggiamento profondamente infantile: i bambini non capiscono la fine del gioco, però capiscono la trasformazione. Cioè, non smettono mai di giocare ma tu gli puoi proporre un altro gioco e loro ti seguiranno, perché intuiscono che non c’è fine ma c’è solo un’altra forma. Allora il gioco di correre diventa facciamo il gioco del silenzio e viene preso all’istante però cambia forma e non può diventare un’interruzione. È qualcosa che ci ha guidato anche a livello stilistico: nello spettacolo utilizziamo diversi linguaggi, dal cinema alla musica, da riferimenti ad altre fiabe agli oggetti, proprio come mischiare i linguaggi è alla base del gioco infantile. Il bambino fa dialogare mondi che non hanno a che fare l’uno con l’altro, e li fa dialogare per una sua scelta totalmente arbitraria.
Simona Gambaro, Paolo Piano: Purtroppo la fiaba ha perso il riconoscimento della sua funzione perché non è stata più utilizzata per lo strumento potentissimo che è. Pollicino è talmente truculenta che, per esempio, non è nemmeno stata presa in considerazione da Disney, ma la tendenza generale è quella di rendere le fiabe “a misura di bambino”, con poco rispetto invece per lui e per la sua capacità di comprensione. Calvino, nell’Introduzione a Fiabe italiane, dice che le fiabe sono il catalogo dei destini dell’uomo. In ogni fiaba sono raccontati i passaggi essenziali della vita, per cui un Pollicino parlerà in un modo diverso in base a chi lo ascolta, alla sua età, al suo vissuto.
Nello specifico questa fiaba è veramente oscura, spaventosa, contiene il peggio dell’animo umano: dall’abbandono alla povertà, dall’assassinio, anche di bambini, al cannibalismo. Eppure, ci abbiamo visto uno strumento da mettere nelle mani dei bambini con la consapevolezza che con i più piccoli si possa davvero affrontare qualunque discorso. Ci siamo resi conto che i giovani spettatori riconoscono immediatamente la possibilità di utilizzare un racconto come mezzo per se stessi, per la propria vita di ogni giorno, traducendolo in opportunità. Inizialmente abbiamo fatto resistenza alla volontà di Manuela Capece e Davide Doro di non fornire al pubblico alcuna interpretazione ulteriore della fiaba, pensavamo fosse necessario uno sforzo in più. Invece, quando abbiamo accettato questa pulizia, ci siamo resi conto che lì, in questa fiaba, e nella fiaba in generale, c’è tutto. Ci siamo fidati e affidati alla fiaba.
di Francesco Brusa, Agnese Doria, Camilla Fava, Rodolfo Sacchettini, Francesca Serrazanetti
a cura di Francesco Brusa, Camilla Fava