Maggio all’infanzia. Intervista a Teresa Ludovico

Dal 18 al 21 maggio avrà luogo a Bari Maggio all’infanzia, storica rassegna dedicata al teatro ragazzi organizzata dai Teatri di Bari. Abbiamo raggiunto telefonicamente Teresa Ludovico del Kismet, con lei attraversiamo le domande curatoriali alla base della rassegna, soffermandoci anche su alcuni snodi estetici e poetici che legano le arti della scena e l’infanzia.

Cominceremmo con un’introduzione al festival di quest’anno. Quali sono le linee di lavoro, tenendo anche in considerazione la lunga storia di Maggio all’Infanzia?

 

Maggio all’Infanzia nasce vent’anni fa al Rossini di Gioia del Colle, teatro che gestivamo in quel periodo. Come è noto, il Kismet ha una grande tradizione nel teatro dedicato all’infanzia e alle nuove generazioni: adesso siamo un Teatro di Rilevante Interesse Culturale, ma prima eravamo un Stabile d’Innovazione per le nuove generazioni. Subito il festival ebbe un grande riscontro, accogliendo tantissimi organizzatori, ma in seguito la gestione del teatro è tornata a essere comunale; per questo Maggio all’Infanzia è stato spostato a Bari. Tre anni fa c’è stata una ulteriore evoluzione: è nata una fondazione, il SAT (Spettacolo – Arte – Territorio) insieme al Teatro le Nuvole di Napoli, con l’obiettivo di coinvolgere un territorio allargato. Le molteplici attività, didattiche e soprattutto formative, sono state estese a tutto il mese, riservando alla terza settimana la presentazione degli spettacoli.

L’aspetto formativo è dunque al centro delle vostre azioni…

In questi vent’anni è maturata una maggiore attenzione verso le problematiche educative. I bambini, ovviamente, non vanno da soli a teatro, qualcuno li deve accompagnare, i genitori oppure, più spesso, gli insegnanti. Quindi, la necessità di avere relazioni privilegiate con gli insegnanti, soprattutto con i più giovani.

A questo proposito quali sono i progetti in essere?

Abbiamo la fortuna di avere una collaborazione di lunga data con Giorgio Testa, una persona straordinaria che ha una vocazione per la pedagogia  e che, dopo la chiusura dell’ETI dove dirigeva il Centro Teatro Educazione, ha fondato la Casa dello Spettatore. Da tre anni sta seguendo, insieme a Sara Ferrari, sia a Napoli che a Bari, il progetto Esplorazioni, un laboratorio destinato agli insegnanti sulla didattica della visione.
Per questa ventesima edizione ci sono poi tutta una serie di progetti speciali. Negli ultimi tre anni il festival ha accolto anche i nuovi linguaggi: il rapporto con la letteratura (allargandosi alle librerie e le piazze, incontrando scrittori, grafici, fumettisti) e con il cinema (vengono scelti dei film attorno ai quali, insieme all’Associazione I bambini di Truffaut, si organizzano incontri e approfondimenti).
È stata accolta una proposta sui temi della Costituzione e dell’Utopia, curata da Graziano Graziani (giornalista di Rai5 e Radio3), un progetto rivolto agli adolescenti invitati a scrivere la propria Costituzione ideale. Altra novità di quest’anno è l’organizzazione di una giornata di eventi e spettacoli dedicati ai bambini dai 0 ai 3.
L’associazione Europea dei Festival, che quest’anno ha insignito il Maggio di un riconoscimento di qualità, ha dedicato tre giornate alla formazione sul management culturale, che ospiteremo.

Come intrecciate tali ragionamenti con l’incontro tra i ragazzi e gli spettacoli? Quali chiavi scegliete?

Il programma è attraversato da quattro fil rouge. Il primo concerne la musica: inaugureremo con uno spettacolo dei Teatri di Bari diretto da Vito Signorile ispirato a Pierino e il lupo, con musiche di Prokoviev, e a L’apprendista stregone, quindi alla musica di Dukas. C’è anche un omaggio a Emanuele Luzzati, il Pulcilele di Paolo Comentale con musica di Rossini, poi programmiamo Lo schiaccianoci della Bottega degli Apocrifi, Eroine all’opera della compagnia pugliese Il carro dei comici, un’operina con attori, teatro di figura e cantanti lirici. Il teatro ragazzi sta andando anche verso un’esigenza di conservazione del patrimonio della lirica: Seicentina, del gruppo lucano L’albero, è un’operina per attrice, voce e basso continuo; in forma di musical, invece, è La gabbianella e il gatto del Teatro Vascello. Torna sempre anche il tema del racconto, con la prima nazionale del lavoro di Francesco Niccolini e Flavio Albanese, L’universo è un materasso; la Compagnia Burambò si confronta con L’arca di Atalanta di Gianni Rodari, partendo dai miti; La grande avventura del Teatro delle Apparizioni è un viaggio nel bosco che racconta le paure dell’infanzia e il tema dell’iniziazione. Ma anche Le dodici fatiche di Ercole del Teatro della Tosse o Cammelli a Barbiana, ancora scritto da Niccolini con Luigi D’Elia, sulla figura di Don Lorenzo Milani.

Si delinea un quadro variegato e polifonico. Quali possono o devono essere le tematiche da portare all’attenzione di un pubblico di bambini?

Gli altri due filoni individuati nella visione delle proposte ricevute sono legati alla fiaba e alle scritture originali, e con questi rispondo anche alla domanda. Le scritture originali in qualche modo rispecchiano i temi forti del nostro tempo, come ad esempio la diversità. Volentieri il festival ospitò sia Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro di Giuliano Scarpinato che La bella Rosaspina addormentata di Emma Dante. Sono convinta che per il pubblico infantile sia necessario incontrare i grandi temi della vita. Le paure da superare, le stesse raccontate nelle fiabe, sono spesso legate a quelle ancestrali e mitiche. Ben vengano, dunque, tutte quelle scritture originali che conducono i bambini in un percorso iniziatico a partire dalle grandi domande dell’oggi: l’altro, l’estraneo, lo straniero, la diversità sessuale e religiosa. Tra gli spettacoli che abbiamo inserito c’è L’arte della menzogna delle Manifatture Teatrali Milanesi, dove un ragazzo mente al padre perché non ha il coraggio di affrontare la sua diversità. Gli artisti dovrebbero darsi il compito di intercettare le domande dei bambini, senza dare risposte, ma invitando al confronto; grazie a percorsi esperienziali il bambino acquisisce gli strumenti per poter comprendere, anche da solo e senza l’aiuto degli adulti. Una volta messo a punto un linguaggio teatrale “che accoglie” ci dobbiamo fidare della loro capacità di decodifica, dobbiamo rispettarli e non avere paura di affrontare argomenti che consideriamo difficili.

Attorno alle potenzialità della fiaba possiamo forse spendere qualche altra parola…

Le fiabe sono nate e sopravvissute per l’esigenza dei nostri antenati di trasmettere il sapere della vita. Per esempio le paure sono sempre le stesse perché sono archetipiche, ma cambiano il linguaggio e gli strumenti per superarle.

La fiaba può dunque metterci di fronte al terribile, senza consolare. In che modo il teatro può ottenerlo?

Secondo il mio punto di vista la fiaba deve affrontare le zone buie, deve portare il bambino ad avere paura, a provare un’emozione forte in una condizione protetta. Nella fiaba il protagonista è impegnato in un viaggio di formazione, il bambino compie il viaggio dell’eroe, identificandosi con tutte quelle “prove” da superare in un mondo che include il male. Il teatro ha un valore educativo, ha la responsabilità di portare l’infanzia alla conoscenza del mondo e della vita. Attraverso la fiaba, tu bambino scenderai in quegli inferi (incontrerai la strega, sarai mangiato da quel mostro ecc) sapendo che, se sei determinato e fedele a te stesso come un Pollicino, troverai la tua strada. Questo è il senso del teatro per l’infanzia, è un linguaggio che deve accompagnare ma anche mostrare ai piccoli che possono farcela da soli nonostante le cadute, gli errori, le ferite.

C’è una questione che stiamo ponendo anche agli altri festival partner di Planetarium. Prima parlavi di un teatro che va incontro alle domande, alle paure del pubblico di oggi. Ma il pubblico di oggi, anche questo così giovane, è immerso in un contesto mediale iper-veloce e iper-frammentato. Il teatro può forse rappresentare un’alterità, una specie di sosta “antica” ma che rischia sempre di essere vissuta come vecchia.

Penso ci sia una caratteristica del teatro che non ha confronti con nessun’altra arte e che non lo farà mai invecchiare: è il rapporto diretto tra lo spettatore e l’attore. Io non ho mai paura della concorrenza di un computer o di un video.
Nel 2000 ho creato uno spettacolo, Bella e Bestia, che ha girato il mondo e ha generato una collaborazione che ancora va avanti con il Giappone. Quello giapponese è, senza dubbio, tra i popoli più tecnologici del mondo, eppure la scena che ha emozionato maggiormente è stata una caduta di centinaia di bigliettini, messaggi d’amore che la Bestia lanciava dall’alto alla Bella. È il linguaggio poetico, quel qualcosa di semplice e impalpabile che esiste anche senza la tecnologia. Una polverina dorata che scende stupisce più di un grande video perfettamente proiettato. È l’azione più semplice che sorprende, noi di questo dovremmo farci esperti. La tecnologia non può mai sostituire l’immaginazione. È necessario riportare al centro della scena l’umanità dell’interprete, il suo corpo con tutta la sua bellezza e fragilità.

 

Lorenzo Donati e Sergio Lo Gatto