Erotismo e infanzia: l’educazione oltre i tabù

La ricca e variegata vetrina di Bari di quest’anno ha suscitato diverse riflessioni, tra le quali una riferita al corpo come possibilità drammaturgica, come linguaggio in grado di parlare all’infanzia per la propria potenza simbolica. Il corpo nella sua espressione energica e vitale contiene una forte componente erotica intesa come desiderio, istinto, movimento verso.
Una delle domande che ci siamo posti a partire dall’analisi del corpo in scena ha a che fare con la possibilità di presentare al pubblico bambino uno spettacolo di cui il contenuto erotico possa risultare evidente e diventare, così, opportunità di confronto (più o meno consapevole) con i moti interiori e le sensazioni fisiche dello spettatore. Nella breve inchiesta che abbiamo condotto al festival si faceva riferimento a un’infanzia verso la quale, spesso, nutriamo pregiudizi che ci portano a preservarla da temi considerati tabù e, a questo proposito, sono state illuminanti le parole di Luigi D’Elia, secondo il quale ci troviamo in un’epoca in cui viene negato il corpo al bambino. E di conseguenza tutto ciò che da esso deriva e che a esso è collegato. È possibile che questa negazione del corpo sia ancora una volta determinata dalla paura dell’adulto? Da un’ipocrita repressione degli istinti alla quale consegue una tendenza a lasciar confluire nel (forse, per molti, poco chiaro) concetto di eros unicamente gli aspetti legati alla violenza e al male?
Luigi D’Elia per raccontare il suo lavoro di narratore in Zanna Bianca non può fare a meno di parlare di eccitazione, che corrisponde a un risvegliarsi dell’energia vitale. Le stesse parole pronunciate da D’Elia, magistralmente tessute dalla sensibilità di Francesco Niccolini, che nello smontare e rimontare un classico della letteratura, instaurando un dialogo intenso e rispettoso con l’autore, riesce a cogliere il senso profondo di una storia selvaggia eppure tutta umana, si generano a partire dal corpo stesso del narratore. Il corpo, racconta D’Elia, non si muove sulla scena assecondando una partitura gestuale prefissata e immutabile, ma ogni volta nuova e guidata dall’energia del momento, da un istinto animale, una pulsione di vita che è anche pulsione sessuale, perché corrisponde all’energia della creazione. Se non si libera questa eccitazione come si può raccontare di un lupo visceralmente legato alla sua foresta e, benché allevato come un cane, incapace di dimenticare il proprio istinto selvaggio? Come diventare lupi noi stessi e sentire il richiamo della luna senza lasciarsi invadere dall’energia vitale che si libera insieme a un ululato di gioia e gratitudine per la ritrovata Madre-foresta? Questa pulsione di vita prende un carattere ancora più marcatamente erotico quando Zanna Bianca incontra nella foresta una lupa, con la quale completerà il suo percorso di ritorno alla Natura accoppiandosi. Sullo sfondo lupi costruiti dallo stesso D’Elia con la garza, il ferro e la pietra, materia viva, immobili prima di un salto, prima di serrare le mascelle sulla carne calda e sussultante di una preda troppo lenta. E intanto le parole vibranti di un narratore che ci mostra paesaggi e stagioni e umori accompagnandoci, lupo tra i lupi, in una storia che è di tutti, che tocca antiche comuni corde nascoste e profonde: un richiamo, dalla foresta. Tutto questo inizia e finisce con il sentimento dell’eccitazione, che è istinto ma anche amore per la vita, perché nulla esiste senza amore. Eros e amore. Eros è amore. E non se ne dovrebbe aver paura, piuttosto lasciarlo scorrere come naturale moto vitale dal quale tutto si origina e al quale tutto ritorna.

In Sogno di Fontemaggiore Teatro tratto da Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, l’erotismo è ancora una volta nei corpi guizzanti degli attori che, ispirandosi alla commedia dell’arte, si esibiscono in vere e proprie danze amorose: corpi che si protendono e si ritraggono sotto il potere di un fiore che, all’improvviso, esplode e invade la scena con il suo polline magico. Una metafora, ancora una volta, dell’erotismo che prende il sopravvento, sconvolge, muove, eccita. E in questo turbinio di emozioni Puck e Fiordipisello scoprono l’amore; non sono in grado di riconoscerlo subito, ma basta uno sguardo o il suono della voce dell’altro perché i loro corpi inizino ad agitarsi, le sensazioni ad amplificarsi, l’energia vitale a scorrere… a questo punto non resta più nulla da capire, ma solo da sentire e lasciarsi prendere da questa energia, cedere al desiderio dell’amore.
Amore ed erotismo li ritroviamo ancora in Canto la storia dell’astuto Ulisse, uno spettacolo irresistibile, scritto e diretto da Flavio Albanese, in cui con leggerezza, profondità e con la poesia delle ombre di Emanuele Luzzati, capaci di sospendere il tempo della storia, il mito diventa fiaba per arrivare dritto al cuore delle esperienze di ogni spettatore. Ulisse e Penelope, alla fine del lungo e avventuroso viaggio del sovrano greco più famoso di tutti i tempi, si riconoscono e si abbracciano; a questo punto gli dei intervengono per rendere la loro notte “la più bella che potesse essere mai sognata”. Le parole sono esplicite, si allude a una notte d’amore e ci sembra quasi di vedere le luci che si abbassano e i due innamorati sparire tra coltri di lana ruvida e pesante. Albanese, però, sottolinea che a emergere non è l’atto sessuale in sé, che non riveste un particolare interesse, ma piuttosto la bellezza del ritrovarsi e del riconoscersi di due innamorati. Penelope e Ulisse, infatti, ottengono in dono dagli dei la giovinezza e la freschezza dei loro corpi, la stessa della prima volta che si erano conosciuti e dunque, viene restituita loro quella spinta vitale, erotica, di un corpo verso un altro corpo, quella curiosità, quel desiderio inscindibili dall’amore o dall’innamoramento, da quel bisogno, insomma, di entrare in relazione con ciò che ci attrae. Ancora una volta amore e eros, indivisibili facce di una stessa medaglia.
In Cappuccetto Rosso di Michelangelo Campanale, un fiore, una rosa che passa dalle mani della bambina a quelle del lupo, anche qui, come in Sogno, diventa metafora del desiderio, rafforzata da una danza ambigua come la storia stessa di Charles Perrault. Il regista esplicita il doppio senso presente nel racconto originale e non edulcorato dell’autore francese in cui, nella morale, si mettono in guardia “i bambini e specialmente le bambine” dai lupi che “hanno faccia di persone garbate e piene di complimenti e belle maniere”, proprio come il lupo di Campanale, un uomo elegante e aggraziato ballerino. Sebbene, probabilmente, i bambini non colgano la sottigliezza di questo passaggio, restano comunque certamente colpiti dall’immagine di un tipo di persone da evitare. E infatti il lupo che divora a tradimento una bambina indifesa si definisce come un personaggio cattivo e meritevole di morte. Il problema, però, non è quello di essere un lupo con i propri istinti. Zanna Bianca è un lupo, ma ha tutta la comprensione e l’affetto degli spettatori e segue l’istinto della sopravvivenza, che comprende anche la necessità di procacciarsi del cibo uccidendo una preda indifesa. Ma lo fa lottando, con quella ”ostinazione” della foresta di cui parlano Niccolini e D’Elia. Il lupo di Cappuccetto Rosso, invece, è prima di tutto un ingannatore, non si mostra per ciò che è. Non ha istinti sinceri e naturali, non lotta alla pari, non ha rispetto. Così come, dunque, il problema non è essere un lupo, allo stesso modo, forse, il problema non è parlare di eros, ma pensare che a questo concetto corrisponda solo un’idea distorta dell’amore.
È possibile che ci sia bisogno di restituire importanza al corpo e agli istinti parlando con naturalezza di erotismo, inteso come energia vitale e creativa, piuttosto che nascondersi ancora dietro a un’idea edulcorata, romanzata e idealizzata dell’amore, dimenticando quell’aspetto legato all’eccitazione che è spinta alla vita?
La risposta non sta nell’occultare l’elemento erotico e neppure nell’affrontarlo in maniera banale e superficiale. In un’epoca in cui la sessualità è diventata oggetto di consumo e l’erotismo strumento privilegiato del marketing, sembra determinante affrontare questo argomento. In questo senso l’arte, come gli spettacoli analizzati hanno in parte dimostrato, può avere un ruolo pedagogico essenziale, per i bambini come per gli adulti.

Nella Califano

(fotografie di Massimo Bertoni)




La drammaturgia del corpo Un’inchiesta da Maggio all’infanzia

La corporeità è oggi uno dei temi più discussi nel dibattito pubblico e, allo stesso tempo, uno dei grandi rimossi della contemporaneità. Di certo, pare che il teatro non possa non affrontare la questione, costruendosi da sempre sul gesto e sul movimento, sulla mimica facciale e sulla presenza ed espressività dell’attore.

Molti degli spettacoli che abbiamo osservato alla ventunesima edizione di Maggio all’Infanzia ponevano proprio questo elemento al centro della loro pratica scenica, andando a comporre quella che per noi era una vera e propria “drammaturgia del corpo” dell’attore nello spazio. Abbiamo allora realizzato una breve inchiesta, chiedendo ad alcuni degli artisti presenti quali messaggi e quali intenzioni vengono veicolate dalla corporeità, in che modo la narrazione procede anche attraverso la “carne”, la voce e i gesti di chi è sul palco. Ne è uscita una mini-serie di videointerviste in cui troverete, oltre alle risposte degli intervistati, anche stralci degli spettacoli e riprese dai momenti del festival:

#1 – Luigi D’Elia, a partire dallo spettacolo Zanna Bianca

#2 – Alessia Candido e Miriam Costamagna (BIBOteatro), a partire dallo spettacolo Scarpette rosse di Emanuele Aldrovandi

#3 – Beatrice Ripoli ed Enrico De Meo, a partire dallo spettacolo Sogno di Fontemaggiore Teatro

#4 – Vito Cassano (Eleina D), a partire dallo spettacolo Cappuccetto Rosso di Michelangelo Campanale

interviste a cura di Francesco Brusa, Nella Califano e Carlotta Tringali

riprese: Francesco Brusa, montaggio: Carlotta Tringali