Lo abbiamo incontrato 2017 e con il direttore di Teatro fra le Generazioni Renzo Boldrini avevamo discusso di teatro popolare, di intrattenimento, leggerezza e densità. Nel 2018 era emerso il concetto di “spettatori dionisiaci”, ma anche la necessità di guidare una fragilità dello sguardo.
Nel 2019 siamo giunti alla nona edizione del festival e il discorso si sposta sui modelli organizzativi, ma anche su quel confronto fra adulti e giovani che si è interrotto nel teatro come nella società.
Renzo Boldrini, ci introduce alla presente edizione, la nona?
Teatro fra le Generazioni arriva alla nona edizione, dunque il primo anno di attività ha coinciso con la legge regionale del 2010 che ha dato il quadro legislativo al sistema delle residenze artistiche della Toscana. Non è un caso, perché la pratica delle residenze ha a che fare con il radicamento, si tratta del rapporto stabile e quotidiano di chi fa vivere un teatro con il territorio che gli sta intorno. La residenza ogni giorno sperimenta azioni per un ravvicinamento fra il teatro e la polis, e da questa pratica nasce Teatro fra le Generazioni, la punta di una piramide di attività della residenza Giallo Mare Minimal Teatro anche sul territorio di Castelfiorentino e di Empoli, parte della residenza interprovinciale dove operiamo. Si tratta allora di un modello che non concepisce la residenza solo come un rapporto fra i luoghi e le compagnie, ma come un presidio culturale artistico che gestisce, programma, produce, forma, promuove e realizza. Io ricopro il ruolo di coordinatore regionale delle residenze toscane, credo non a caso, stiamo infatti parlando di un modello progettuale che rispecchia la stessa idealità alla quale si sono ispirate le compagnie professionali di teatro ragazzi dopo il periodo dell’animazione, che va dalla fine degli anni ’60 alla metà degli anni ’70. In quel momento nasce in Italia il teatro per l’infanzia e la gioventù, in quel momento le compagnie “fondatrici” hanno costruito un modello per i venti o trent’anni a venire. Vedo molte affinità tra l’afflato di quel periodo e le domande che attraversano le residenze toscane oggi, anche allora c’era la necessità di incontrare comunità più definite, pensiamo al mondo della scuola, o di radicarsi nei territori in cui si lavorava.
Teatro fra le Generazioni cerca di essere generale e specifico nello stesso tempo perché non si pone il problema di includere uno spettatore visto secondo lo stereotipo del “primitivo culturale”, ma anzi si interroga sulle strategie, i linguaggi e le modalità specifiche da utilizzare per rivolgersi a un pubblico differenziato e particolare allo stesso tempo.
Cosa manca oggi al teatro ragazzi?
La capacità di fissare questo fenomeno con serietà. Non mi risulta, per esempio, che esistano tesi di laurea che non si fermino solo alla preistoria del teatro ragazzi in Italia. Questo non accade perché non esistano testi o riflessioni critiche e storiografiche, eppure forse per gli studiosi il teatro ragazzi è avvertito ancora come un genere minore.
La Toscana, insieme al Piemonte all’Emilia-Romagna, storicamente è stata una regione motore in una nazione dove ogni singolo comune, quasi per una necessità ideologica (alla quale non corrispondeva sempre una qualità delle proposte), aveva una rassegna di teatro per le scuole, per le famiglie, per i ragazzi. Oggi il campo si è ristretto in maniera importante: quella del teatro ragazzi è una zona di non consenso perché i bambini non sono ancora elettori, dunque si preferisce concentrare un’attenzione anche politica ed economica su una maggiore quantità di titoli nella stagione di prosa. È un procedere che rassicura. Io cerco di fare un festival sostanzialmente autoprodotto e “autonominato” ma capace di rivolgersi a diverse generazioni, non teatro “per” le generazioni di giovani ma “fra” le generazioni, includendo anche spettatori piccolissimi.
Cosa vedremo quest’anno in programma, dal 19 marzo al 22 marzo?
Comincio col dire senza un euro di finanziamento in più, passiamo da tre a quattro giorni. Abbiamo venti proposte delle quali cinque sono progetti in divenire, studi o percorsi in fieri, con il festival come palestra per trasformare materiali quasi solo ideati a spettacoli ben definiti e maturi. Sono interessato alla varietà perché vorrei che Teatro fra le Generazioni non fosse solo una vetrina per operatori, lo penso come un cantiere e un punto di incontro tra le figure che operano intorno a quest’area creativa. Apriamo per il secondo anno consecutivo con l’assemblea Assitej, che raccoglie direttori di teatro, operatori, artisti; ospiteremo un corso di formazione per insegnanti. Tra le proposte in cartellone ci sono compagnie che vengono da tutta Italia e ben cinque coproduzioni, segno di un terreno dove si favorisce l’incontro tra storie e generazioni diverse. A livello tematico segnalo solo la presenza di alcuni lavori che sfatano alcuni luoghi comuni della fiaba e altri nei quali è molto viva l’attenzione al rapporto con il mito.
Esistono dunque nel teatro ragazzi delle tematiche urgenti, oppure dei temi tabù ?
Esistono tabù enormi. Manca in questo momento la possibilità di prendere di petto con dignità la questione del futuro. Credo che farebbe bene rinsaldare, anche grazie al teatro, un rapporto vero fra pubblici di adulti e di bambini. Poi ci sono i nodi legati al cambiamento in atto, a livello sociale: cambia la società, cambiano le domande, cambia l’immaginario. Pensiamo per esempio all’utilizzo della tecnologia e al mutamento che comporta nel rapporto intersoggettivo e relazionale, non solo tra i più giovani. Solo chi si occupa di questo tipo di teatro sa cosa vuol dire oggi tenere per un’ora, nella sospensione del ritmo teatrale, una comunità di bambini abituata alla rapidità.
Cosa si augura per il teatro ragazzi?
Mi auguro che si creaino le condizioni per una riflessione sul teatro ragazzi come fenomeno culturale, vorrei aprire un tavolo di confronto scevro da soluzioni pre-acquisite, un confronto serio. Trovo ingiusto che questo fenomeno nel suo complesso non abbia trovato una sponda universitaria permanente, così come mi piacerebbe che i tentativi di relazione con la critica (Eolo e Planetarium, per esempio) proseguissero in vista di più ampi ragionamenti condivisi, oltre le singole recensioni.
A cura di Nella Califano
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