(illustrazione di Moebius)
di Bruno Tognolini
(testo originariamente apparso su Versante Ripido – Fanzine online per la diffusione della poesia)
La poesia per bambini, come io la intendo e scrivo, non è composta da parole poetiche: poetica è la poesia. È una poesia che infila perle di parole famigliari, domestiche, poche e vere, quelle che i bambini sentono dire e dicono nei loro veri giorni. Queste parole sono per loro ancora fresche e nuove, ancora immense, grondanti di senso: non hanno bisogno di vestirsi dei sinonimi sorprendenti e spaesanti accostamenti dei poeti laureati, che si muovono solo fra i nomi poco usati; o al contrario di spellarsi all’osso minimo per rinverdire, come talora accade nella poesia dei grandi, che deve rianimare parole rese opache da stanche decadi d’usi e abusi, forse anche di poeti stanchi.
Qui invece opera l’attitudine primordiale (e quindi poetica) in cui l’istinto di specie pone ogni adulto che parla al suo cucciolo: parole che son novissime per chi ascolta, e quindi (grande astuzia della specie) per chi parla, che le dirà con voce nuova e illuminata, e renderanno le cose nominate agli orecchi di chi le ascolta illuminate, desiderabili e splendenti. Poche parole ma sempre di più, sempre crescenti; parole note ma sempre “più una” sconosciuta: lo spiraglio che serve per sognare cosa mai vorrà dire, e quindi crescere.
Parole note, quindi, riconoscibili, ma disposte in modo sonante e sorprendente.
La mia poesia punta sulla disposizione delle parole più che sulla loro natura. Disposizione che cammina su due piedi: SORPRESA NEL SENSO e INCANTO NEL SUONO.
La Sorpresa nel Senso è il dono sacro della Signorina Rima, che lei concede dopo decenni di buon servizio, prestato con la “strenght and submission” che consiglia Eliot. Decenni in cui impari (o almeno io ho imparato) che alla rima non devi far dire solo quello che vuoi tu, altrimenti si annoia, si impermalisce, e non ti sussurra più nell’orecchio ciò che vuol dire lei. E così le poesie vogliono dire solo ciò che vuoi dire tu, che può ben essere cosa eccelsa ma non è ciò che vogliono dire tutti: ciò che volevano dire, per esempio, tutti quelli che leggono, e non lo sapevano dire, e invece eccolo, scritto sotto i loro occhi.
L’Incanto del Suono nella mia poesia per i bambini è il ritmo, la rima, il metro, a me essenziali e irrinunciabili, regolari e pulsanti, elementari e sacri, come una preghiera, una giaculatoria, uno scongiuro, quel salmodiare a mezza voce che sussurra ininterrotto dai primordi, incomprensibile, misterico e sciamano.
Non userò qui, per dar corpo a questi due piedi della disposizione nella poesia, esempi tratti da opere mie, ma loro: poesie fatte e rifatte senza fine dai bambini per se stessi.
Ecco le parole disposte col piede della SORPRESA NEL SENSO in una vecchia conta.
Bim, bum, bam
Quattro vecchie sul sofà
Una che cuce, una che taglia
Una che fa cappelli di paglia
Una che fa coltelli d’argento
Per tagliare la testa al vento
“Ma il vento ce l’ha la testa?” – chiedo a questo punto ai bambini nei miei mille incontri con l’autore nelle scuole. “Nooo!” – dicono sorridendo. Ma un nanosecondo prima, nella frazione d’istante esitante in cui ci pensavano, hanno formato nella loro frizzante mentina l’immagine ipotetica del vento con la testa, ne hanno tratto sorpresa e meraviglia, e quel sorriso ne è segno.
Ed ecco le parole disposte col piede (che batte in terra, come la poesia antica comandava, fino a chiamare “piedi” i suoi stessi versi) col piede dell’INCANTO NEL SUONO, in una conta a eliminatoria raccolta di recente, con varianti, in diverse città. In questo caso, per rendere più autoevidente l’esempio, il senso si riduce a zero e il suono si impenna in piena potenza.
Nel mio giardino c’è un cagnolino
Che si chiama
Àcico pelàcico pelèm-pem-pètico, pelàto pelùto pelèm-pem-puto
Chi sa dire questo nome
Uscirà dalla canzone
Per fortuna esistono in natura diverse specie di poesia per bambini. Forse non tantissime, forse tante sfumature di due sole: col tamburo e senza tamburo; con una forte e regolare base ritmica, e senza; o ancora un altro modo di chiamarle: filastrocche e poesie.
Alcune mie amiche poetesse, Giusi Quarenghi, Silvia Vecchini, Vivian Lamarque, suonano senza tamburo le loro poesie, o con un tamburo meno dispotico, che batte un colpo libero ogni tanto. Io le leggo e sorrido molto, perché suonate così sono stupende. E stupendo e immensamente rinfrancante è sentire poeti che cantano su uno strumento diverso dal mio e il loro canto è di pari e molto spesso maggiore bellezza. Con altre poetesse, invece, come l’amica gemella nei versi Chiara Carminati, m’è accaduto addirittura di suonare insieme (nel libro RIME CHIAROSCURE, RCS), battendo tamburi perfetti e meticolosi, all’unisono o in contrappunto, come in certi concerti afro nelle nostre vie.
Insomma, io suono solo poesie con un piede tamburo, battente, regolare, a metronomo. Le mie poesie sono sempre filastrocche. Gagliardissima poesia fatta coi piedi.
Bruno Tognolini è scrittore, drammaturgo e sceneggiatore. Ha collaborato con alcuni importanti nomi del teatro italiano, come Marco Baliani, Marco Paolini e Gabriele Vacis. È stato autore di numerosi romanzi, racconti e raccolte poetiche per bambini. Ha vinto due Premi Andersen.
Lascia un commento