Dopo Schiaccianoci Swing di Bottega degli apocrifi (lo abbiamo raccontato qui), per la regia di Cosimo Severo, abbiamo incontrato il regista per farci raccontare qualcosa del processo di lavoro. Ne è venuta fuori una breve conversazione riguardo i complessi e affascinanti rapporti fra musica e sguardo teatrale dell’infanzia, che qui trascriviamo in forma di dichiarazioni (a cura di Lorenzo Donati).
La musica e i bambini e il teatro-ragazzi
In Schiaccianoci Swing ci concentriamo sul rapporto fra musica e bambini. Mi chiedo sempre come fare perché la musica non distragga dall’aspetto narrativo: la musica sa raccontare mondi, ma se comincia il ritmo i bambini possono essere spinti a seguire solo quello, dimenticandosi di ciò che stanno guardando. Non si tratta di “mediare” fra musica e racconto: è più un lavoro per cercare le chiavi che permettano alla musica di essere racconto. Abbiamo lavorato molto perché i brani non iniziassero e finissero tirandosi l’applauso, ma ci accompagnassero piuttosto da uno stato d’animo all’altro.
C’è un pubblico che non bisogna mai tradire, ed è quello dei bambini. Si può fare un brutto spettacolo per gli adulti – qualche concessione alla superficialità la posso anche contemplare, con gli adulti – ma con i bambini questo non deve accadere. I bambini sono il pubblico più onesto possibile, e noi dobbiamo essere altrettanto onesti quando ci rivolgiamo a loro. Per me il teatro-ragazzi è una forma di rispetto, non un linguaggio. Si tratta di teatro, non penso che ci siano differenze negli strumenti linguistici che utilizzo, la costante è che cerco di sciogliere la complessità, per renderla immediatamente chiara. Quando facciamo uno spettacolo non possiamo pensare solo a noi, il teatro vive di una continua interlocuzione con gli spettatori, a maggior ragione se sono bambini.
Schiaccianoci Swing e lo sguardo dell’infanzia nel processo
Il nostro Schiaccianoci Swing è passato prima attraverso una costruzione musicale, curata dal nostro responsabile musicale, il violinista Fabio Trimigno (in scena nello spettacolo), che ha iniziato a rielaborare le musiche di Čajkovskij. Poi con Fabio – che studia da tempo la relazione fra musica e infanzia attraverso laboratori di musica d’insieme e percorsi tattili di creazione musicale in cui sperimenta la possibilità di far suonare insieme bambini e ragazzi da 4 a 12 anni – ci siamo domandati in che modo quella musica potesse “giocare” e arrivare fino ai bambini.
Infine abbiamo lavorato con Stefania Marrone, che ha dato un occhio sulla costruzione drammaturgica, cercando di capire se nei vari passaggi ci fossero coordinate capaci di rimandarci a una storia, che a sua volta è partita da Hoffmann per trasformarsi nella storia di una passione (una bambina che vuole suonare la fisarmonica). A quel punto è cominciato il rapporto con i bambini, non solo con le prove aperte ma attraverso laboratori che ci hanno permesso di rivolgere loro delle domande in modo diretto e di lasciar emergere le risposte un po’ alla volta.
Produrre uno spettacolo per adulti non mi fa lavorare in modo diverso, non si tratta di linguaggi differenti o di mettere a punto misure per alleggerire o semplificare, si tratta sempre di accogliere la complessità e, come dicevamo, di scioglierla senza semplificarla. Quando si semplifica si cade nell’errore e si finisce per fare uno spettacolo per bambini. Ma i bambini sono più intelligenti! Dalle loro idee dovremmo imparare e alla mia attrice ho chiesto di guardarli, di capire come osservano, come rispondono. Mai scimmiottarli, mai fare le vocine!
Nella musica s’intuisce che qualcosa sta cambiando
Ho chiesto alla musica di non prendersi troppo sul serio, di giocare con se stessa, di non farsi protagonista per esserlo davvero, le ho chiesto di essere umile e di avere autoironia.
Per questo abbiamo scelto di usare nello stesso spettacolo molteplici arrangiamenti della partitura di Čajkovskij; e per questo ci siamo presi la libertà di inserti inaspettati, da Morricone, al Can Can a Le Cicale.
Ognuno di questi inserti spalanca nuovi mondi: nella scena dell’arrivo dei topi Morricone da un lato ti fa sorridere perché non pensavi di trovarlo lì, e quindi spezza la paura, ma dall’altro ti apre al western, dunque a uno spiazzamento che ti rimanda a quegli intensi momenti prima dello scontro cruciale, dove l’emozione passa attraverso primissimi piani amplificati da una musica pontentissima, che ti fa pensare «Fra un po’ arriva il cattivo» (che poi è esattamente quello che accade quando nello spettacolo stanno per arrivare i topi!)
La musica amplifica l’emozione, è vero, ma Sergio Leone – visto che orami lo abbiamo tirato in ballo – va oltre la semplice empatia della musica. Così noi stiamo provando a fare in modo che i musicisti, che io tratto assolutamente come attori, lavorino per non essere parte integrante della musica, ma per essere il personaggio che suona, che come testo ha quelle note, suonate proprio in quella maniera. Questo li porta in alcuni momenti a lavorare in contrasto rispetto a quanto accade musicalmente, loro ci stanno perché lo facciamo assieme: dopo ogni replica rimetto in discussione delle parti dello spettacolo, vanno trovati dei modi per non sedersi e non accontentarsi dell’empatia della musica.
La musica è un elemento drammaturgico a tutti gli effetti in questo spettacolo, e sappiamo che errori possa portare compiacersi della drammaturgia, delle parole.
Le parole in scena sono azioni, sono al servizio e solo per questo preziosissime; la stessa cosa avviene in Schiaccianoci Swing per la musica.
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