La terza giornata di Segnali ha portato l’eterogeneo pubblico, piccolissimi spettatori, ragazzi, famiglie e operatori, in un luogo prezioso: Bì, la fabbrica del gioco e delle arti. Uno spazio polifunzionale e dinamico che ospita un caffè, la biblioteca di Cormano, il museo del giocattolo con oltre 900 pezzi fra macchinine, bambole, trenini e tutti quei giocattoli che hanno accompagnato la crescita dei più piccoli tra il Settecento e la seconda metà del Secolo Breve, e il Teatro del Buratto.
Il Centro dell’infanzia di Cormano, nato nel 2010, fin da subito si è affermato come un’eccellenza, unico spazio dell’hinterland milanese completamente dedicato ai bambini. Molti i commenti sorpresi di genitori e nonni, più emozionati dei piccoli spettatori per la scoperta di un luogo unico nel panorama meneghino.
Gli oltre duemila metri quadrati di questa ex fabbrica dei primi del Novecento hanno iniziato a risuonare di risate, giochi e scaramucce fin dal mattino, prima degli spettacoli Un amico accanto della Compagnia Mattioli e Nemici di Panedentiteatro.
È una figura fantasiosa ad aprire Un amico accanto della Compagnia Mattioli (spettacolo consigliato per i bambini dai 3 ai 7 anni): due corpi per una giacca, quattro braccia per due maniche e sei scarpe che si muovono, ma che non sono al loro consueto posto e ingannano la normale percezione. Le due attrici sul palco, Monica Mattioli (anche regista dello spettacolo assieme a Monica Parmagnani) e Alice Bossi, dopo essersi contese la giacca, diventano la prima il draghetto solitario protagonista di questa storia, e l’altra il servo di scena di nero vestito che con efficacia muove i semplici e pochi oggetti presenti nel lavoro. Stufo di giocare solo e ritagliare omini di carta, Drotto parte alla ricerca di un amico e lo fa con l’aiuto della fantasia: un semplice palloncino in mano, la valigia nell’altra e lo sguardo pieno di stupore gli permettono così di volare mentre le stagioni passano evocate dalle foglie autunnali portate dal vento, da coriandoli bianchi che ricreano la neve, rami di alberi fioriti in cui si imbatte il draghetto desideroso di confronto. Se elementi di leggerezza e giocosità non mancano, aleggia però su tutto il lavoro una costante tristezza: nel suo viaggio Drotto incontra dei personaggi buffi e curiosi che appaiono e scompaiono ma con cui è impossibile comunicare; l’unica infatti a parlare con lui è una mela che, essendo però commestibile, viene divorata da un tricheco. Al suo posto non rimane che un torsolo e la gioia del protagonista, di nuovo triste e solo, è confinata nella possibilità di giocare e correre intorno a un melo cresciuto grazie agli amabili resti della sua amica: forse in una società in cui le persone hanno “La fretta”, come dice spesso Drotto, e gli esseri umani non comunicano tra loro, l’unica consolazione è imparare a stare bene con se stessi, apprezzando la poche piccole cose che ci circondano, come la natura. (c.t.)
Siamo di fronte a uno spettacolo che parla di guerra, e che vuole farlo con i ragazzi più piccoli, dagli 8 anni in su, ma senza per questo tralasciarne le immagini più inquietanti e spaventose. Nemici della compagnia Panedentiteatro solleva delle questioni fondanti per chi pensa allo spazio teatrale come a un luogo di resistenza, in grado di infondere nel pubblico il desiderio di lottare, in particolare contro una visione del mondo che ci viene data da altri, dall’alto.
Una buca da trincea in cui si nasconde un solitario soldato, interpretato da Enrico De Meo, che non si chiama più per nome, ma con un codice identificativo, qualche barattolo di latta vuoto e un manifesto appeso ai sacchi di sabbia che lo proteggono dal nemico sono tutto ciò che compone la scena. Una scena circolare come i movimenti del soldato che, incalzato da una voce in falsetto fuori campo, continua a ripetere, giorno dopo giorno, le stesse azioni, senza senso, senza inizio né fine, senza la possibilità di fuga da quel buco claustrofobico in cui ha trascorso oltre 1200 giorni. La voce lo osserva, lo sprona all’odio per il nemico, non gli lascia respiro nemmeno negli unici momenti della giornata in cui potrebbe darsi pace: il pasto e la notte. Il soldato senza nome prepara la tavola con quel che ha: un baule, due bende, sei scatole di piselli, una gavetta, un elmetto e l’oggetto più prezioso, insieme al manuale del buon soldato, la foto di sua moglie, sola vera interlocutrice da quando il “compagno di buca” è morto. L’unico pasto della giornata viene interrotto dall’obbligo di ripetere l’alfabeto del nemico: A come abominevole, B come bestia, C come codardo e così via fino alla Z di zozzo. Dopo un’attesa da Deserto dei Tartari in un mondo tanto simile a 1984 di Orwell viene chiesto l’ultimo sforzo al soldato: attaccare il nemico, uno, solo, nella buca di fronte. Il cerchio della scena si ribalta, il nemico è scappato, e il nostro protagonista si ritrova in un mondo che è l’esatto speculare del suo: una trincea identica, gli stessi piselli, la stessa voce che parla in una lingua diversa, unica differenza… (c.f.)
Alle dieci del mattino il Museo del giocattolo di Bì, la fabbrica del gioco e delle arti è gremito di bambini piccolissimi, dai pochi mesi fino ai tre anni. Un pubblico tutto particolare quello di Ecco io qui. Narrazione sensibile per piccoli spettatori di Nudoecrudoteatro. Alessandra Pasi e Judith Annoni cantano una filastrocca, ammaliando i bambini, catturandone l’attenzione, riuscendo fin dai primi minuti a coinvolgerli nello spazio della scena. Questo è il fine di Ecco io qui, permettere ai più piccoli di sperimentare con tutti i loro sensi, guidati dalle attrici, i materiali e gli oggetti più disparati: cuscini di iuta, di lana, riempiti con grano e profumati come fiori, grandi quadrati di legno in cui entrare, tende di seta, specchi in cui riconoscersi o riconoscere l’altro, pezzi di legno da toccare o da suonare. Il vero spettacolo qui sono proprio i bambini che, sotto il vigile sguardo delle due attrici e delle mamme, sperimentano un mondo a loro misura, iniziano a conoscersi, giocano insieme, si prendono per mano per far scoprire al nuovo amico appena incontrato un cuscino particolarmente profumato, i giochi di luce che si possono creare con uno specchietto, la musica che può scaturire da una semplice corda tesa. Per tutta la durata dello spettacolo neanche una scaramuccia, nemmeno un pianto o un litigio e le attrici, spentesi le luci sulla scena, accendono piccole torce e cantano una canzone d’arrivederci di fronte allo sguardo luminoso dei loro piccoli spett-attori. (c.f.)
I trecento posti del Bì Teatro alle 11.00 sono gremiti di pubblico: nelle prime file i bambini e dietro di loro una folla di spettatori di ogni età. In scena c’è Becco di rame di Teatro del Buratto, uno spettacolo tratto dal libro del veterinario Alberto Briganti alla cui ideazione hanno lavorato Jolanda Cappi, Giusy Colucci e Nadia Milani, Matteo Moglianesi e Serena Crocco, questi ultimi anche in scena.
Ci accoglie all’apertura del sipario una notte senza stelle in cui le uniche luci provengono da piccole case fluttuanti nel nero della scena. Becco di rame è infatti uno spettacolo su nero in cui i protagonisti, tutti animali di stoffa, prendono vita grazie ai tre attori che li muovono senza mai far percepire la loro presenza, con grande stupore dei piccoli spettatori. Nello stile di un classico romanzo di formazione scopriamo la storia – vera – di un pulcino, salvato da un mercato e portato in una fattoria. Inizialmente solo, timido e spaesato incontrerà tre curiose galline, un po’ diffidenti perché incapaci di dargli un nome, troppo diverso da qualunque animale abbiano visto: è un cigno, o forse una papera? Il piccoletto non lo sa, si sente rifiutato, ma la conoscenza di Madame C., una cicogna viaggiatrice, e come tutti i viaggiatori esperta del mondo, gli permetterà di scoprire chi è: una regale oca Tolosa, capace di instaurare ottimi legami con tutti gli animali che la circondano. Il pulcino, accompagnato dalla sua famiglia adottiva, una coppia di innamoratissimi maiali, inizia a crescere: i click di una fittizia macchina fotografica fissano i momenti salienti della sua giovane vita. La mente corre all’infanzia di noi spettatori adulti, ogni frame ci appartiene, accomunandoci a tutti i bambini che assistono ridendo al primo compleanno del protagonista, ai suoi giochi, al primo bagnetto dal quale uscirà ormai grande. Divenuto oca da guardia il piccoletto è ora sicuro di sé e tiene al sicuro tutta la fattoria, ma un’enorme volpe meccanica si sta avvicinando pericolosamente. Nella lotta, un combattimento in perfetto stile disneyano, l’oca Tolosa perde la parte superiore del becco, ma riesce a scacciare il malvagio predatore.
Sarà un veterinario, quell’Alberto Briganti che ne ha scritto la storia, a salvargli la vita con una protesi in rame per il becco ed è a questo punto che tornano la paura di essere diverso e il timore di sentirsi nuovamente rifiutato. Invece la sua storia lo rende un simbolo di forza d’animo e coraggio, il suo becco sfavillante un esempio per tutti, grandi e piccini, del fatto che essere diversi non significhi essere peggiori. Alla fine dello spettacolo un emozionato Alberto Briganti è entrato nel Bì Teatro con una grande sorpresa per tutti: il vero Becco di rame sale sul palco, le sue grandi e grigie ali spiegate verso una tournée in scuole, teatri e centri culturali per far ammirare il suo lucente becco, per raccontare a chiunque abbia voglia di ascoltarla la sua storia. (c.f.)
Camilla Fava, Carlotta Tringali
Lascia un commento