di Simone Caputo
Come riflettere sulla funzione dell’ascolto, di quali modi d’ascolto o di quali livelli? Ci si potrebbe occupare del livello semantico, in cui entra in gioco il sapere, la conoscenza che impegna l’intelletto. Oppure del livello rappresentativo, per il quale l’ascolto apre scenari, immagini e fantasie che si intersecano con le memorie di ognuno e che spesso accompagna il livello semantico. O ancora del livello emotivo che risponde alle sollecitazioni d’ogni tipo che l’ascolto propone. Questi tre livelli d’ascolto operano però contemporaneamente e hanno una attività correlata, sempre, anche quando non ne siamo coscienti. Anche in un’età come quella dell’infanzia, in cui all’ascolto come funzione spontanea e multisensoriale dell’esistere, si affianca l’ascolto consapevole, da conquistare nel tempo attraverso esperienze uditive, motorie e giocose, e soggetto ad una continua evoluzione. Esso racchiude in sé la possibilità di far vivere e provare al bambino ciò che potrebbe passare inascoltato. Parafrasando Jankélévitch, dove la parola manca, là comincia la musica; dove le parole si arrestano, là il bambino non può che cantare e ballare, sfruttando la superiore capacità che offrono i suoni di andare oltre il vincolo della referenza, di attingere e dare espressione all’ineffabile. “La musica”, dice Debussy, “è fatta per l’inesprimibile”.
Ascoltare musica non è un’attività passiva o neutra, bensì un esercizio di partecipazione personale. La molla principale di questo impegno consiste nel provare piacere: l’ascolto musicale è autogratificante, e ancor più deve esserlo nell’età dell’infanzia. Lo scopo dell’ascolto non si può ridurre però al solo piacere; scopo altrettanto importante è lo scambio di esperienze. Come all’empatia quotidiana si attribuisce il ruolo di rendere partecipi alle esperienze, alle emozioni e ai punti di vista degli altri, così all’empatia musicale si può attribuire un ruolo analogo: arricchire la vita interiore, facendo partecipare il bambino della vita interiore di altri esseri umani: «un reciproco risuonare di corpi tesi all’ascolto», come ha scritto Jean Luc Nancy, nel sottolineare l’imprescindibilità dell’esperienza d’ascolto, insieme motoria e relazionale, tra gli strumenti educativi dell’infanzia. Ascolto, quindi, come spazio – di risonanza, emotivo, personale e relazionale –, ma anche tempo – che prevede l’attesa, di un qualsiasi segno, compreso il silenzio. Perché come suggerisce un anagramma della lingua inglese, listen uguale silent.
Simone Caputo è musicologo, docente presso l’Università dell’Aquila nonché ricercatore all’Università “La Sapienza” di Roma. È inoltre redattore per la sezione musica del Dizionario Biografico degli Italiani Treccani e ha collaborato con la rivista Lo Straniero.
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